Annate: piccolo riassunto di metà estate
Barolo 2020, 2019, 2021; Mosella 2023; Champagne 2018, 2019, 2020, 2021
Dopo due post che hanno coperto argomenti di politica e attualità, torniamo a parlare strettamente di vino, anche se l’attualità offrirebbe comunque spunti di riflessione. Fabio Motta, uno dei piccoli vignaioli di riferimento a Bolgheri, ha venduto la maggioranza dell’azienda al gruppo Gussalli Beretta, che al contrario di altri grossi gruppi industriali che differenziano investendo nel vino sembra avere una strategia incentrata sull’acquisizione di piccole aziende (fa eccezione Orlandi Contucci Ponno in Abruzzo) e sul mantenimento della loro identità. Tecnicamente, però, un’azienda che entra a far parte di un grosso gruppo non può più definirsi artigianale: anche laddove tutte le operazioni continuassero ad essere svolte manualmente e la dimensione rimanesse quella di una piccola azienda, inevitabilmente sul piano finanziario e commerciale le dinamiche sono differenti.
Lo spunto di riflessione base, comunque, è sempre quello: i prezzi delle vigne nelle zone commercialmente più appetibili (a Bolgheri siamo intorno al milione per ettaro, in Borgogna si arriva a 50 e più) sono ormai tali che è quasi impossibile, per un piccolo vignaiolo, acquisire nuovi terreni senza partnership con soggetti finanziatori esterni. Il rapporto tra vino e finanza è un argomento che mi prometto da anni di approfondire, magari in un prossimo libro.
Ma passiamo invece a quello che è il vero argomento di oggi.
Circa i due terzi delle domande che mi vengono poste dai lettori di questa giovane newsletter che ha ancora tanto bisogno di crescere (grazie a chi si è iscritto, tre volte grazie a chi ha consigliato ad altre persone di farlo) sono riassumibili in:
“Fabio, com’è l’annata 20xx in [regione]?”
Ho quindi deciso di riassumere tutto in un post lungo, sulle basi -chiaramente non esaustive dato che molti vini dei millesimi in questione non sono ancor usciti- dei miei assaggi. Della Borgogna immagino invece di avere detto abbastanza… per ora.
BAROLO
2020: un’annata strana, che non assomiglia a nessuna di quelle che l’hanno preceduta. Nella testa delle persone, inevitabilmente verrà associata alla pandemia, dato che è quasi impossibile pensare all’anno 2020 senza ripensare a quelle vicende. In ogni caso, se andiamo a vedere i numeri, la 2020 andrebbe classificata come la “classica” annata calda, perché ha in effetti fatto molto caldo. Ma ha anche piovuto sempre al momento giusto. Negli ultimi venticinque anni, si parla di annata “classica” quando si ha di fronte un millesimo di alta qualità, giustamente caldo, e non caldo come la 2011 o la 2017. I 2020 sono il frutto di un’annata giustamente calda, sono vini mediamente di qualità, equilibrati, maturi ma non surmaturi, con acidità commisurate all’estratto e, cosa molto importante, pH bassi. Ma si discostano dal canovaccio dell’annata classica per due motivi.
Primo: i tannini non sono serrati come nelle annate classiche propriamente dette, si tratta di vini suadenti, non austeri, con la trama tannica levigata che normalmente si ritroverebbe nel contesto di maturità più spinte, alcolicità più elevate, acidità inferiori.
Il secondo ne è in parte una conseguenza: mai dei Barolo di qualità sono stati così pronti. I 2020 sono già seducenti, aromaticamente esuberanti, c’è la tentazione di berli fin d’ora e non sarà necessario aspettarli chissà quanto, anche se i pH suggeriscono che saranno comunque vini longevi. La prontezza, nel Barolo, è sempre stata vista, da noi tradizionalisti, come un limite, generalmente associato ad annate troppo calde: qui non è così, la materia è buona ma non esagerata, i vini sono d’impatto al naso, molto profumati, non ci sono eccessi.
Per me, l’annata attualmente in commercio è da comprare, e da bere nell’attesa che i più austeri 2016, 2019 e 2021 siano pronti.
2019: grandissima annata, classica, senza se e senza ma. Vini più pronti, a questo stadio evolutivo, rispetto a 2016, 2010, 2001 e 1999, ma i termini di paragone sono questi, ossia i più grandi millesimi dell’ultimo quarto di secolo. Tannini comunque molto importanti, che avranno bisogno del giusto tempo per amalgamarsi nella struttura del vino. Non ho particolari timori che succeda quello che è successo a non pochi 1996, vini durissimi che hanno finito per non essere mai pronti: qui le acidità sono integrate nel corpo in maniera mediamente più riuscita.
Comprare e attendere a lungo.
2021 (escono a partire dall’anno prossimo): si prospetta un’altra grandissima annata, maturità perfetta, tannino importante e della massima qualità, acidità eccellenti, pH eccellenti. Forse un pochino di alcool in più rispetto all’equilibrio ideale, ma la prospettiva è di un millesimo della stessa qualità del 2019, che potrebbe raggiungere la piena maturità assieme ad esso (nel senso che, uscendo due anni dopo, dovrebbe impiegare un paio d’anni in meno, per le alcolicità maggiori e i tannini meno serrati.)
Tenete da parte i soldi perché saranno dei classici, semmai potrete risparmiare sui 2022 e i 2023. È troppo presto per dare giudizi, ma non troppo presto per dire che non saranno al livello di 2021 e 2019: sono due annate in cui i problemi non sono mancati, anche se qualcuno riuscirà a superare il campo minato che queste vendemmie hanno rappresentato per i barolisti.
MOSELLA
2023: un’annata strana, che non assomiglia a nessuna di quelle che l’hanno preceduta. Lo so, l’ho già scritto più sopra, ma è esattamente così.
L’andamento climatico è stato bizzarro: annata prima troppo secca, poi troppo umida, poi troppo calda. Il risultato sono vini mediamente eccellenti, con vette straordinarie. Classici come estrazione, acidità belle croccanti, pochi vini dolci propriamente detti ma quei pochi sono spesso straordinari per purezza e complessità. In generale un’annata da vini secchi e Kabinett, molto molto buona.
CHAMPAGNE
2018: dopo una mediocre 2017, preceduta dal terzetto 14-15-16 complessivamente ok ma irregolare -i grandi vini ci sono, ma vanno cercati col lanternino- la 2018 è la prima annata che mi sento di chiamare grande dopo la splendida 2012 e una 2013 che rimane sottovalutata, in cui sto bevendo diverse cose davvero egregie. Ma torniamo alla 2018. Annata calda, vini potenti, ampi, generosi, le acidità non sono altissime ma complessivamente in grado di sorreggere la struttura di questi vini. Magari non da tenere vent’anni in cantina (ma non è detto!), però sicuramente c’è motivo per essere felici dell’uscita di questi Champagne, e per comprarli e berli anche da giovani.
2019: eccola, l’annata del decennio. Nonostante un’estate con un caldo da record, questi Champagne hanno la struttura dei 2012 e solo un filo meno di acidità. Meglio i Pinot, questi davvero leggendari, che i comunque ottimi Chardonnay. Tanto hype, e giustificato.
2020: il terzetto 2018-19-20, come qualità complessiva (non come caratteristiche delle annate), mi ricorda le mitiche 1988-89-90, anch’esse venute dopo un po’ di anni grami consecutivi. Tra queste, la 2019, specie per le uve rosse, è la più esaltante, la 2020 la meno elettrizzante, ma comunque generalmente più che buona. Anche in questo caso meglio i Pinot. Non ha la struttura di 18 e 19, ma ha più acidità della 18. In generale, preparate i portafogli perché in questi tre millesimi c’è e ci sarà parecchio che vale la pena comprare.
2021: annata fredda, problematica, vini strettini. Meglio lo Chardonnay. Mi aspetto molta, moltissima variabilità e diverse maison che non dichiareranno le cuvée de prestige. Della 22 si dice che sia un’altra 18, ma meglio, i miei dati di assaggio di vin clair sono però per il momento insufficienti.
Spero che queste rapide note, necessariamente concise, abbiano risposto con efficacia alle domande che mi sono state poste. A presto con le prossime disquisizioni vinose!