Cronache borgognone - parte prima di sette
Chablis e dintorni, direttamente dai Grands Jours de Bourgogne 2024
Come accade ogni due anni dal 2006, ho passato buona parte della terza settimana di marzo ai Grands Jours de Bourgogne, la manifestazione che raccoglie circa 800 domaine di Borgogna per la presentazione delle nuove annate.
Rigorosamente a inviti, contingentata a 2600 visitatori, riesce a proporre un buon ambiente di degustazione senza dover fare troppo a gomitate, dando il giusto tempo per assaggiare, con un’ottima logistica (non mancano né lo spazio per parcheggiare, né i bus navetta). Insomma, una delle manifestazioni di questo tipo meglio organizzate al mondo. Certamente il budget non manca, considerando i prezzi attuali dei vini, ma comunque tanto di cappello per uno dei pochi eventi enoici a cui non rinuncerei per nessun motivo.
Sia chiara una cosa: mancano i grandissimi nomi. Niente Romanée-Conti, Leroy, Coche-Dury, Ramonet o Rousseau. Ma nemmeno Roumier, Mugnier, Dujac, Fourrier o Leflaive. Alcuni di questi, però, in passato c’erano, e ancora oggi ci sono nomi come Liger-Belair, Bizot, Cecile Tremblay, Anne Gros e Ponsot. A volte “vanno in onda in forma ridotta” graziandoci dell’assaggio di un paio di cru minori (oh, il Vosne-Romanée di Bizot sarà un semplice Village ma sempre tremila euro costa. Certo non è l’Echezeaux…), ma più spesso, se ci sono, ci sono anche con i loro vini migliori.
Allo stesso tempo, mancano quasi del tutto gli “unicorni”, i produttori naturali dalle etichette spesso coloratissime i cui vini, stilisticamente in rottura con il classicismo, raggiungono quotazioni stratosferiche a dispetto delle denominazioni poco altisonanti. I motivi sono due: innanzitutto, le produzioni di queste aziende sono spesso minime (ma ai banchi di produttori della vecchia guardia capita di assaggiare anche vini prodotti in 600 bottiglie), poi resta sempre il dubbio (a volte una ragionevole certezza) che quando molti di questi vini incontrano i mostri sacri del classicismo fanno la stessa fine dell’uomo con la pistola nei film di Sergio Leone. Le eccezioni ci sono, ma sono, appunto, eccezioni.
Quella che segue, divisa necessariamente in sette parti, è una cronaca che va a riassumere i migliori fra oltre 800 assaggi; non può e non vuole inquadrare in modo esaustivo l’intero panorama borgognone, ma certamente sono validi consigli per gli acquisti, considerando come la maggioranza di queste bottiglie sia regolarmente importata in Italia.
L’ANNATA 2022
Prima di andare in dettaglio, due parole in generale sull’annata 2022 in Borgogna. La prima cosa da dire è che, dopo le tragedie della 2021, in cui qualcuno è arrivato a perdere il 90% della produzione, le rese sono tornate sopra la media degli ultimi anni, anche se qualche gelata e grandinata c’è stata. Tutto nell’ordinaria amministrazione, però.
Per il resto, è stata un’annata calda e secca, ma non torrida e con un po’ di acqua al momento giusto. I vini sono maturi, ma non surmaturi e alcolici come i 2020; le acidità non sono alte, ma percepiamo fresca succosità. Possiamo dire che è un’annata un po’ calda, un po’ rotonda, i vini sono un po’ cicciotti rispetto alla classicità borgognona rappresentata da annate come 2002 e 2010, ma sono mediamente ben fatti, molto piacevoli, estremamente gastronomici. Non la ricorderemo come l’annata della vita, di quelle che vent’anni dopo impongono un attimo di commozione quando se ne tira fuori una bottiglia, ma ne godremo da giovane, nella sua mezza età e, per i cru più importanti, anche nella piena maturità, e quasi mai ne resteremo delusi, se avremo scelto le bottiglie giuste da tenere in cantina.
Una nota MOLTO importante: i 2022 assaggiati sono stati messi in bottiglia da poco. Quanto poco? In media poche, pochissime settimane. Qualche volta un mese o due, ma la parola “l’altroieri” è stata pronunciata, incontrata da una smorfia da parte mia. Ma così è, e come al solito tocca arrangiarsi e cercare di leggere tra le righe. A questo stadio, non mi preoccupa se un vino di buona estrazione è condizionato dal legno; è dall’annata 2002 che assaggio Borgogna dalla botte, posso farcela a provare a intuire dove questi vini andranno a parare.
PARTE PRIMA: CHABLIS E DINTORNI
Regole: massimo un vino per azienda, quattro Grand Cru, due Premier Cru, due Village, un Petit Chablis e un Bourgogne
Billaud Simon – Chablis Grand Cru Les Preuses 2022: non ci stupiamo di vedere Billaud-Simon in cima a una graduatoria di vini di Chablis. L’azienda gode di una costanza qualitativa rilevante e soprattutto di un patrimonio di vigne invidiabile, in cui non si è astenuta dal presentare il proprio cru di punta. L’intensità è importante, con prevalenza di note floreali e speziate e toni salmastri. La bocca è piena, potente, ricca, ma tutta questa estrazione è accompagnata dalla giusta acidità che lo rende al tempo stesso verticale e pulsante nonostante la struttura da peso massimo. Cosa volere di più da Chablis?
Pinson – Chablis Grand Cru Le Clos 2022: unico rappresentante in graduatoria della più nobile vigna di Chablis, da parte di un produttore di stampo ultra classico. Al netto del legno, il naso è profondo, potente, mela verde, spezie e scorza di cedro. L’impatto in bocca è fragoroso, accompagnato da una bella nota salmastra, la lunghezza impressionante. Sarà grande.
Duplessis – Chablis 1er Cru Montmain 2021: nume tutelare della tradizione di Chablis, con i suoi vini ultra austeri e con grandi capacità di invecchiamento. Non si è limitato alla 2022, ma ha presentato anche millesimi un po’ più pronti (c’era anche un 2015). Montmain 2021 ci ricorda che l’annata è stata peggiore per i produttori (che hanno perso buona parte del raccolto) che per i consumatori, i quali spesso si trovano davanti vini splendidi. Montmain 2021 è veramente old school, una gita al mare, il vino più salmastro della manifestazione, salnitro, brezza di mare, limone verde, in bocca una sferzata di freschezza e mineralità, con la giusta potenza, fresco e coerente fino al finale.
Vocoret – Chablis 1er Cru Butteaux 2022: Eleni ed Edouard Vocoret hanno presentato una batteria di vini impressionante, che trascende il portafoglio di vigne a loro disposizione. Questo, il loro unico Premier Cru, mette a sedere buona parte dei Grand Cru in degustazione, anche di nomi altisonanti. Il naso è aperto, potente, agrumato e floreale, con una parte più carnosa di frutta bianca e splendidi richiami speziati e iodati. La bocca è di spinta, potente, piena, polposa, ma con abbastanza acidità da renderlo verticale come si conviene a uno Chablis che si rispetti.
Christian Moreau – Chablis Grand Cru Clos des Hospices (Le Clos) 2020: vino che esce dopo gli altri cru aziendali in virtù di un affinamento più lungo, presentato qui in quella che sta diventando l’annata calda per antonomasia. Ancora un po’ condizionato dal legno, ma sotto se ne comprende la grande materia, matura ma certo non surmatura. L’energia cinetica è impressionante, l’acidità agrumata e i ritorni minerali e speziati portano a dama un quadro complessivamente encomiabile. Da attendere nonostante la nomea del millesimo.
William Fevre - Chablis Grand Cru Bougros “Côte Bouguerots” 2021: altro nome storico, con il suo Grand Cru migliore che generalmente non tradisce mai, cosa che non si può sempre dire del resto della linea aziendale. Fevre ha deciso di portare i 2021 di tutti i suoi cru, e considerando che questo sta indietro come le palle dei cani se ne capisce facilmente il perché. È fine e austero, con note precisissime agrumate e iodate. La bocca è quintessenziale: polpa e acidità, sapidità estrema, potenza esplosiva, finale interminabile. Una versione muscolare e appena grassa, ma di quelle buone.
La Croix Montjoie – Bourgogne Vézelay L’Elegante 2022: Vézelay è ancora un segreto ben custodito, zona a sud di Chablis dove dopo la fillossera non si è ripiantato per un secolo nonostante i vocatissimi terrei calcarei, fino alla fine degli anni Novanta quando ci si è resi conto che in effetti lasciare incolta della terra dove lo Chardonnay è sempre venuto bene non era un’idea geniale. Dei suoi tre cru in bianco questo è il più raffinato, il più salmastro, il più simile a un (ottimo) Chablis, con una mineralità clamorosa e una bocca perfettamente composta, verticale ma non magra, di rimarchevole precisione e finezza. Ben oltre quanto sia lecito aspettarsi dalla denominazione.
Pommier – Chablis Croix aux Moines 2022: altra azienda che generalmente non delude mai nonostante un portafoglio di vigne “ad handicap” rispetto a chi fa primiera con i Grand Cru essendo nato dalla palla giusta. Vigna di 60 anni su suoli kimmeridgiani, ci accoglie come un monumento di sapidità marina, limone, mela verde, profondo e ampio. La bocca è altrettanto tipica, minerale e precisa, di buon volume ed eccellente lunghezza per un village che trascende il suo lignaggio.
Goisot – Chablis Faucertaine 2022: l’azienda è nota per gli eccellenti vini delle Côtes d'Auxerre, sia Chardonnay che Sauvignon (tipico della denominazione St. Bris), tuttavia quest’anno il vino che mi ha convinto di più è il loro unico Chablis. Preciso e nitido, minerale e speziato, molto pulito, sapido il giusto, profondo, l’annata gli dà una certa rotondità in bocca. Davvero interessante.
Millet – Petit Chablis La Perle 2022: quest’azienda non conosciutissima di Tonnerre ha in questa selezione di Petit Chablis il suo cavallo di battaglia, e infatti anche per quanto riguarda l’annata 2022 mette in fila la totalità dei pari denominazione presenti. Centrato sulla parte agrumata, di discreto impatto, un accenno minerale e una bella finezza. Buona polpa, rintocchi floreali ad arricchire un profilo già di superba complessità per la tipologia, non si scompone fino alla fine. Hai detto Petit Chablis?
Le parti seconda, terza, quarta, quinta, sesta e settima di questo report usciranno su questa newsletter quando avrò tempo