Cronache borgognone, parte quarta di sette
Ai confini dell'Impero: Côte Chalonnaise e non solo
Eccoci arrivati al quarto episodio del mio report sui Grands Jours de Bourgogne, focalizzato sull’annata 2022 ma non solo. Prima dei fuochi d’artificio in Côte de Nuits, è il momento di parlare di una zona che vent’anni fa si attraversava con l’acceleratore a tavoletta andando da Mâcon verso Beaune, ma oggi è scandagliata con la lente d’ingrandimento alla ricerca di produttori poco conosciuti dal lusinghiero rapporto qualità/prezzo: la Côte Chalonnaise. Questa zona abbraccia cinque comuni (Bouzeron, Givry, Mercurey, Montagny e Rully) che in comune hanno il giusto: un mosaico di suoli, quote ed esposizioni prima ancora che di stili. Un terreno di ricerca sempre interessante, anche se devo evidenziare come in questa 2022 i migliori siano, alla fine della fiera, ancora i soliti noti, al netto dell’assenza, rispetto alle edizioni precedenti, di alcuni Domaines oggi considerati di culto (Dureuil-Janthial e Clos Salomon su tutti). Insieme ai migliori vini di questa zona, ho voluto segnalare un paio di nomi che geograficamente avrei dovuto trattare assieme a Chablis, ma ho preferito inserire qui per comunanza di “nuova frontiera” costituita dalle rispettive denominazioni.
MA PRIMA, UN ANNUNCIO IMPORTANTE:
Lunedì 21 parte la terza edizione del mio Corso di Sopravvivenza Enoica a Milano. Tutti i dettagli qui
PARTE QUARTA: COTE CHALONNAISE E UN PAIO DI INTRUSI
Nessuna regola, se non “un solo vino per produttore”.
Domaine De Villaine – Rully Les St. Jacques 2022: il Domaine De Villaine (guidato da Pierre Benoist, il nipote del leggendario Aubert De Villaine co-proprietario del Domaine de la Romanée-Conti) è il nome di riferimento per quanto riguarda Bouzeron, l’unica denominazione di tutta la Borgogna dove l’uva utilizzata è l’Aligoté e solo l’Aligoté. Ho apprezzato l’ultima annata dei suoi Bouzeron, ma il vino che ha rubato la scena è l’unico appartenente a una diversa denominazione: un umile Village per le mappe, nei fatti un ottimo vino che ha messo in fila tutti i Premier Cru dello stesso villaggio in degustazione. Curiosamente, affinato in botte grande. Il naso è di grande impatto, bello minerale, danza tra l’agrume e la frutta esotica. Ha la giusta tensione, ma l’annata rotonda lo rende assai succoso, gourmand. Un filo di legno forse, ma ben gestito. Da berne ancora e ancora, un manifesto del perché non mi preoccuperei più di tanto della longevità di questi 2022 nel lungo e lunghissimo periodo, se sono così golosi appena messi in bottiglia. Al netto di come oggi quasi nessun operatore faccia profondità di cantina.
Domaine Ragot – Givry 1er Cru Clos Jus 2022: azienda che negli ultimi 15 anni ha conosciuto una graduale e costante crescita qualitativa, e che oggi è certamente più di una semplice opzione a prezzi contenuti. Grande cura in vigna, stile contemporaneo in cantina (diraspatura integrale, macerazioni brevi) per dare eleganza a vigne in zone che non sono certo Chambolle-Musigny. Il vino di punta dell’azienda appare ben composto, complesso, speziato, fruttini scuri, un Givry quintessenziale. La bocca è altrettanto figlia della migliore espressione della vigna e dell’annata: ampia, carnosa e potente, materica ma precisa, esce fuori la tannicità tipica del territorio, lungo e intenso. Una versione polposa, sì, ma senza sbavature.
Domaine Tupinier-Bautista – Mercurey 1er Cru Clos du Roy 2022: l’azienda di riferimento di Mercurey mantiene le aspettative con il suo vino più importante. Il naso è indietro, austero, speziato, si percepisce una materia importante ma ha ancora bisogno di tempo. Un po’ più leggibile al palato, dove la gran polpa è accompagnata da un’acidità vibrante, di una freschezza rara per l’annata in Côte Chalonnaise. Va certamente letto in prospettiva, ma è chiaro come si tratti di una prospettiva eccellente.
Domaine Stephane Aladame – Montagny 1er Cru Les Coeres 2022: anche in questo caso, nessuna sorpresa nel trovare questa azienda ai vertici qualitativi del proprio comune. Assemblaggio di due parcelle di cui la parte del leone la fa una vigna di 70 anni con una porzione rilevante di Chardonnay muscaté, clone ormai rarissimo. Naso complesso, bene espresso, fiori e spezia, frutta esotica e agrumi. Bocca generosa, materica, una versione piuttosto larga, quasi opulenta, generosa, anche in questo caso molto 2022 (annata che ha marcato la calda Côte Chalonnaise più di altre regioni) ma davvero godibile. Anche adesso.
Paul & Marie Jacqueson – Rully 1er Cru La Pucelle 2022: cru di cui ho sempre apprezzato la finezza e la precisione, e anche in un’annata non facilissima per chi vuole vincere in eleganza Jacqueson non delude. Cesellato, agrume e sale, la materia c’è ma è bilanciata dalla giusta freschezza. Di anno in anno, un approdo sicuro.
Alain Hasard (Le Champs de l’Abbaye) – Rully Les Cailloux 2022: altro Rully molto minerale, pietra focaia e gesso, frutta bianca matura, composto e quasi austero. Bocca sapida, precisa, ben sostenuta, dinamico e verticale, ben fatto, senza sbavature, profilo classico che si distingue come una delle migliori interpretazioni del territorio in questo millesimo.
Domaine Bersan – St. Bris 2020: St.Bris è una denominazione dell’Auxerrois, a sud-ovest di Chablis, in cui si produce del Sauvignon blanc. A rigor di logica, avrei dovuto inserire questo vino insieme agli Chablis e ai vini di Vezelay, ma questa è la mia newsletter e faccio come mi pare. Naso fine, ben espresso, pulito, frutta bianca matura, pietra focaia, appena erbaceo. Bocca slanciata, precisa, seria, sancerreggiante, fresca e con una bella chiusura agrumata. Da una denominazione trascurata, un’azienda da appuntarsi sul taccuino.
Bruno Dangin – Le Grand Classique: e ora, qualcosa di completamente diverso. Bruno Dangin, dopo quarant’anni di esperienza in Champagne nell’azienda di famiglia, si è messo a produrre metodo classico in una “terra di nessuno” tre chilometri a sud del confine dell’Aube, ossia della frontiera magica oltre la quale il tuo metodo classico è Champagne. E invece, deve etichettarlo come Crémant de Bourgogne. Assemblaggio in parti uguali di Chardonnay e Pinot Noir, dosato come brut. Giustamente a metà strada tra Crémant e Champagne, tra affilato e ruffiano, fiori bianchi, pasticceria, cremoso ma anche sapido. Interessante, anche per il prezzo.
Les Champs de Themis – Bourgogne Rouge 2022: ok, ok, smetto di divagare e torno in Côte Chalonnaise, dove ci sono ancora un paio di belle cose meritevoli di menzione. Tra cui, curiosamente, un rosso fatto a Bouzeron, ossia nel feudo dell’Aligoté, un po’ in legno un po’ in cemento. Naso pulito, bei fruttini, un tocco erbaceo. Bocca croccante e golosa, ma anche fresca, sorprendentemente tutt’altro che banale, esce la parte minerale in chiusura. Difficile fare un rosso così, qui, in quest’annata.
Domaine Jaeger-Defaix – Rully 1er Cru Le Cloux 2022: tutt’altro lignaggio per una delle aziende più storiche, conosciute e giustamente apprezzate dell’intera regione. Nel mezzo di una solida batteria con numerosi Premier Cru, ho preferito questo, che si presenta lasciando il segno con un naso bellissimo e già complesso, molto fragrante, frutta bianca matura al punto giusto, un richiamo minerale, fiori bianchi, una nota speziata molto fresca. Molto preciso e composto, controllato, lungo, un altro testimone di come l’annata, a Rully, abbia tirato fuori degli ottimi vini che sopperiscono alle acidità non più che nella media (per non dire sotto) con una vibrante mineralità che li bilancia.
E anche la Côte Chalonnaise l’abbiamo trattata dandole il giusto spazio, pur con un paio di intrusi. Dopo avere cincischiato esplorando i confini dell’impero, le prossime tre puntate di questo report saranno dedicate al suo cuore: la Côte de Nuits.
Le quinta, sesta e settima di questo report usciranno su questa newsletter quando avrò tempo.