Cronache borgognone (parte seconda di sette)
Oggi parliamo di Côte de Beaune, in bianco e in rosso, da Volnay a Puligny-Montrachet passando per qualche zona meno battuta
No, non mi sono dimenticato di avere sei post arretrati su recenti assaggi di Borgogna, è solo che sono molto indaffarato.
Ma mentre tutti (me compreso) sono al Vinitaly, eccomi con i migliori assaggi, sia in bianco che in rosso, della Côte de Beaune.
PARTE SECONDA: COTE DE BEAUNE
Regole: massimo un vino per produttore, almeno due Bourgogne e due Village. A questo giro nessun Grand Cru, per cui questi valgono anche come consigli per godere tantissimo spendendo il giusto. Questi vini e le aziende che li producono sono la prova che esistono ancora i buoni rapporti qualità-prezzo.
Henri Delagrange – Volnay 1er Cru Santenots 2021: il buon Didier Delagrange decide di vincere facile presentando il suo vino più raro e prezioso (600 bottiglie, negli anni in cui riesce a produrlo). Questo cru è noto per essere classificato come Volnay Premier Cru pur essendo ubicato nel comune di Meursault, ma quello che ci interessa è la finezza dei suoi migliori esemplari. Delagrange produce una cuvée da soli grappoli acinellati che ha acquisito negli anni lo status di leggenda: leggero, elegantissimo, fiori e piccole bacche rosse, diafano, privo di peso, dalla splendida acidità e di una finezza con pochi eguali, non solo a Volnay. Sublime abbraccio di seta.
Fabien Coche – Meursault 1er Cru Charmes 2022: Ormai è ora di smetterla di citare sempre l’ingombrante cugino: i vini di Fabien Coche splendono di luce propria. Non solo a Meursault, ma la gerarchia delle vigne, a parità di manico, raramente tradisce e che il più importante dei suoi Premier Cru sia il vino che più mi ha impressionato è qualcosa che potevamo prevedere. Una premessa essenziale è che i 2022 di Coche sono a uno stadio embrionale, per quanto riguarda i massimi livelli direi inapprocciabili da qui a due anni; tuttavia, l’esperienza nel leggere i vini di Borgogna a questo stadio mi permette di estrapolare con poco margine di dubbio un giudizio sulla loro grandezza. Charmes 2022 stupisce, ad ogni modo, per la definizione, la precisione e la potenza, la sua materia è per ora compressa ma è un compendio di tutto quello che si può desiderare in un Meursault, la frutta bianca matura e la freschezza agrumata, la mineralità spiccata e i contrappunti floreali, il burro di arachidi e le erbe officinali. Grande sapidità, grande spinta, grande lunghezza, tradisce, per ampiezza e alcolicità, il millesimo appena caldo ma la prova è da standing ovation.
Antoine Jobard – Meursault 1er Cru Poruzots 2022: difficile sbagliarsi con Antoine Jobard, che ormai da decenni resta un punto di riferimento a Meursault. Poruzots 2022 è emblematico di quello che il territorio di Meursault può concedere quando condotto da un grande manico. Complice anche l’annata, siamo decisamente dalle parti di quei Meursault golosi, avvolgenti, che sanno inconfondibilmente di burro alle erbe e che chiedono abbinamenti generosi quanto loro. Un grande classico.
Thomas-Collardot – Puligny-Montrachet La Rue aux Vaches 2021: un lieux-dit di Puligny che gioca generalmente sulla finezza e la precisione, per questo giovane Domaine in grande crescita. Nonostante sia un 2021, non è certo più pronto dei 2022, ma un’attenta degustazione ne rileva le indubbie qualità al di là della più classica delle chiusure giovanili. Profilo di estrema definizione, bel frutto, molto floreale, un po’ di pietra focaia e di freschezza agrumata. In mezzo a tanti bianchi d’impatto, si distingue, al contrario, per finezza, precisione, pulizia. Equilibrato fra struttura e acidità, pur nel suo impeto giovanile convince appieno, specie nel lungo finale assai sapido.
Remi Jobard – Meursault 1er Cru Genevrieres 2022: passiamo a un produttore ben più conosciuto, con uno dei suoi vini più iconici, anch’esso proposto nella versione 2022 appena messa in bottiglia e che richiede un attimo di pazienza, come per molti di questi vini che arriveranno sul mercato con calma nei prossimi mesi, più nel 2025 che nell’anno in corso. Questo, poi, è un cru decisamente vocato all’invecchiamento. Il naso, al netto di una grande, piena mineralità in cui domina la pietra focaia, è restio ad esprimersi, ma il sorso, nella consapevolezza del suo essere totalmente in divenire, è da cavallo di razza. Cru particolarmente minerale per gli amanti delle grandi sapidità, non tra i vini più grassi della denominazione ma dotato di grande energia cinetica, acidità sferzante, rigore e finezza assoluta.
Jean-Marc Bouley – Volnay 1er Cru Clos des Chenes 2021: quando parliamo di interpretazioni eleganti del territorio di Volnay, raramente Thomas Bouley non viene chiamato in causa; l’annata 2021 è stata complicata, la produzione assai ridotta, ma quello che è finito in bottiglia è di grande qualità. Clos des Chenes non tradisce, e si mostra già aperto nel suo naso di piccoli frutti rossi, contrappunti floreali e anche un tocco di scorzetta d’arancia che per un attimo mi distrae facendomi pensare a Serralunga. Ma è solo un attimo, la struttura qui è leggiadra, senza peso, il tannino seta pura. Eleganza, progressione e lunghezza, senza mai calcare la mano.
Thierry Glantenay – Volnay 1er Cru Santenots 2022: altro nome ben noto a chi bazzica Volnay, cru che è già comparso in questa lista. Anche qui bisogna fare un certo sforzo interpretativo, il naso è assai chiuso, ancora un po’ condizionato dal legno. La qualità della materia in bocca, però, è chiara, per contratta che possa risultare a questo stadio; è una versione con una gran bella polpa, accompagnata da un tannino di ottima fattura, un Volnay un po’ più materico e strutturato rispetto ad altri esempi parimenti annoverati tra le eccellenze.
David Moreau – Santenay Cuvée S 2022: ci spostiamo a Santenay, da quello che è diventato uno dei nomi, se non il nome di riferimento di questo villaggio. Assai valida la selezione dei Premier Cru, ma come spesso accade, questa particolare cuvée, selezione dei soli grappoli acinellati, ha toccato all’assaggio corde che raramente vengono chiamate in causa per un Village. Chi già conosce questo vino ne ritroverà tutte le caratteristiche abituali, dalle note profonde e pulsanti in cui i mirtilli sono accompagnati da sottobosco, terra bagnata e fiori macerati, alla grande freschezza e verticalità, in un profilo complesso sì, ma soprattutto succoso ed energico. Una certezza.
François Mikulski – Bourgogne Cote d’Or 2022: Mikulski è spesso divisivo, ma credo che quest’anno si possa essere tutti d’accordo che ha tirato fuori un eccellente Bourgogne. Generoso, già leggibile, ricco di frutta e con una bella freschezza agrumata, la polpa del 2022 gli dona e lo rende particolarmente godibile.
Agnes Paquet – Bourgogne Aligotè Le Clou et La Plume 2022: Agnes Paquet sta continuando a fare cose ottime sulle Hautes-Cotes, sia in bianco sia in rosso, nonché ad Auxey-Duresses, tuttavia il vino che voglio menzionare per chiudere questa breve rassegna è un Aligotè, taglio di una vigna quasi centenaria a Meursault e una più giovane a Meloisey. Bellissima mineralità, dinamico, fresco, vibrante, l’Aligoté che vorremmo avere sempre in frigo. Mi è venuta sete.
Questo è quanto, per la Côte de Beaune di quest’anno. Un ottimo mix di bianchi e di rossi, di vigne blasonate e di cuvée misconosciute, di mostri sacri e di nuove leve, di etichette di pronta beva e di cru da custodire gelosamente in cantina (per quanto i 2022 credo richiederanno attese più brevi del solito, nell’ordine degli anni non certo dei decenni).
Ci sentiamo presto con Mâcon e le Hautes Côtes, nel frattempo buona Borgogna ma soprattutto buon Vinitaly!