Cronache borgognone, parte sesta di sette
I migliori Premier Cru 2022 e 2021 della Côte de Nuits
Se stai leggendo qui, probabilmente sai dove eravamo rimasti, e dove stiamo andando a parare. Passiamo quindi subito alla rassegna dei dieci migliori Premier Cru assaggiati in Côte de Nuits, dove l’asticella è davvero alta.
PARTE SESTA: COTE DE NUITS, I PREMIER CRU
Nessuna regola, se non “un solo vino per produttore”.
Cécile Tremblay – Vosne-Romanée 1er Cru Beaumonts 2022: quando unisci uno dei migliori Premier Cru di tutta la Borgogna con una produttrice la cui mano è sovente paragonata a quella di Madame Leroy (cosa con cui io non sono d’accordo, ma le riconosco comunque di essere una delle migliori interpreti attuali del territorio di Vosne-Romanée), il risultato non può che essere un capolavoro assoluto. Da una parcella di appena 1700 metri quadri (o 0,17 ettari, se preferite), quest’anno integralmente diraspato. A questo stadio il legno è ancora nettamente percepibile, ma se vent’anni di assaggi borgognoni non mi avessero dato gli strumenti per guardare più in là avrei dovuto cambiare mestiere da tempo. Naso fragrante, al di là della speziatura del legno è super speziato di suo, frutta scura, the, lavanda, di grandissima precisione e purezza. La sensazione tattile al palato mette questo vino in una categoria a sé, per la superba finezza e cesellatura della sua texture, grande mineralità ed energia, tannino bene integrato, un vino tutto di suadente eleganza, più che di potenza. Un classico di domani, ma che probabilmente, considerando l’espressività aromatica e il già bene avanzato stadio di avanzamento dell’integrazione delle parti dure, sarà pronto da bere prima di quanto classicamente ci si possa attendere da un cru di questo lignaggio. È non solo, ma anche un effetto non immediatamente percepibile del cambiamento climatico. Purtroppo parliamo di una bottiglia pressoché virtuale, ma sia annotato che siamo di fronte a un vino assoluto.
Domaine Berthaut-Gerbet – Vosne-Romanée 1er Cru Petit Monts 2022: altra produttrice ormai di culto, altro Premier Cru fra i migliori di Vosne-Romanée e di tutta la Borgogna. Naso profumatissimo, aperto, di grande intensità, molto ricco e ampio, maturo, fruttini rossi e neri, tè nero, bella mineralità. Bella struttura, succoso, tannico il giusto (evidentemente in divenire per quanto riguarda l’equilibrio in bocca, ma si risolverà con qualche anno di cantina; più saliamo nella gerarchia dei cru più, per una serie di ragioni, un minimo di attesa per trovarli al punto giusto è necessario, anche se oggi meno di un tempo), lungo e piacevolmente sapido. Un vino straordinariamente erotico e godurioso, già adesso e figuriamoci domani. Altro capolavoro senza mezze misure.
Domaine Robert Chevillon – Nuits St. Georges 1er Cru Vaucrains 2022: avevo già premiato il Village di questo grande produttore come uno dei migliori dieci della Côte de Nuits, mi ritrovo a ripetermi per questo, il più complesso e strutturato dei suoi cru, il più Nuits e il meno Chevillon, per dirla con la dialettica manico-vigna. Naso un po’ indietro, particolarmente austero, come normalmente è questo vino a questo stadio, ossia a quello embrionale: spezie, sottobosco, humus, mirtillo e prugna, con un tocco balsamico appena accennato. Parimenti, al palato torna ad essere indietro e austero, ma che materia! Di inenarrabile complessità, struttura perfettamente coesa, tannino rilevante ma della maggior finezza immaginabile, sapido, giustamente muscolare ma perfettamente sorretto, interminabile. La migliore versione di questo vino che abbia mai assaggiato, e uno dei migliori Nuits St. Georges degli ultimi decenni – se la gioca con le migliori versioni del Boudots di Leroy, di cui oggi una bottiglia costa circa come tre o quattro cartoni di questo vino.
Bruno Clair – Gevrey-Chambertin 1er Cru Clos St. Jacques 2021: uno dei miei produttori del cuore, uno dei tre “Grand Cru in pectore” (un altro verrà citato più sotto), un vino con un anno di bottiglia: no, non poteva andare male, anche perché Bruno Clair è uno dei manici più affidabili dell’intera Borgogna, uno di quelli che si possono sempre comprare anche a scatola chiusa. Fine, preciso, di buona intensità, molto profondo, un caleidoscopio di profumi, frutti di bosco (ribes rosso e nero), speziato, floreale e qualche nota boschiva. La bocca è indietro, ancora piuttosto tenace, non un mostro di potenza ma splendidamente cesellato, preciso, tannino e acidità che ne guidano la struttura, ritorno sul frutto, con una certa austerità tannica nel finale. Un bellissimo vino che probabilmente richiederà un po’ di pazienza, chiaramente figlio della sua annata, un’annata con più acidità e meno estrazione rispetto a quella che l’ha seguita.
Bruno Clavelier – Vosne-Romanée 1er Cru Les Beaux Monts 2022: stesso nome di battesimo e stesso livello di affidabilità rispetto al vino precedente, da uno dei Premier Cru più belli di Vosne-Romanée (lo stesso del vino della Tremblay, anche se ciascuno lo scrive a modo suo). Naso particolarmente elegante e territoriale, appena caldo: ciliegia sotto spirito, prugna, fiori e un mix di spezie orientali. Bocca ben sostenuta, senza nulla concedere all’annata calda, tannino setoso, grande mineralità e persistenza. Perché scegliere tra manico e vigna, quando puoi avere entrambi?
Domaine du Comte Liger-Belair – Vosne-Romanée 1er Cru Reignots 2022: nella precedente puntata, descrivevo il Vosne-Romanée di Bizot come il vino più caro descritto in questo report. Beh, scherzavo. Questa costa il doppio, e Liger-Belair, per mostrare che a volte savoir faire e titoli nobiliari vanno a braccetto, ha presentato ben quattro vini (compreso un Grand Cru e sì, quello sarà il vino più caro presente in questo report). Che dire? Chapeau, considerando quanto queste bottiglie siano l’oggetto del desiderio di (quasi) chiunque ami la Borgogna, al netto di uno stile non esattamente in sottrazione. Per capirci, a questo stadio il legno è ancora ben presente e non del tutto integrato, ma si noti che il Domaine ha appena iniziato a mettere sul mercato i 2020. Legno a parte, il naso è potente, maturo, speziato, mora quasi in confettura e una mineralità esuberante. Bocca generosa, ubertosa, succosa, torna una nota minerale importante a fare da co-protagonista, ben strutturato, infinito. Per chi ama la Borgogna e non vuole rinunciare all’impatto, un vino vicino all’assoluto; per chi mette eleganza e finezza davanti a ogni cosa, un vino stilisticamente su altre corde di cui non si può però negare la grandezza.
Domaine Amiot-Servelle – Chambolle-Musigny 1er Cru Les Amoureuses 2021: eccolo, l’altro Premier Cru che dovrebbe essere (ogni tanto se ne discute) elevato a Grand Cru (del terzo, Cros Parantoux a Vosne-Romanée, diciamo eufemisticamente che è molto difficile riuscire ad assaggiare in giro una bottiglia, anche perché i produttori sono solo due e non hanno bisogno di presentare i loro vini in giro). Anche Amiot-Servelle, come altri, ha preferito presentare un vino più pronto rispetto ai 2022 che, in media, avevano meno di un mese di bottiglia, e il risultato è encomiabile. È un vino dall’estrema, inebriante finezza, quella che del resto ci si attende da questo cru, aereo, voluttuoso, lamponi e mirtilli, violetta, rosa e geranio, spezie orientali. Parimenti la bocca è deliziosa, suadente, elegante, ben equilibrata e con una convincente parte sapida che va a contornare un quadro di apprezzabile complessità. Stupendo.
Boigey Frères – Vosne-Romanée 1er Cru Les Suchots 2022: attenzione, un nome nuovo. Non il “solito” giapponese che ha fatto due-tre vendemmie in aziende di culto, compra le uve chissà dove e propone delle etichette coloratissime e vini dalla parte del succo di frutta. No, no, quasi l’opposto: due cinquantenni che si sono stufati di incassare l’affitto delle vigne (in posizione clamorosa) di loro proprietà e vederne i frutti venduti da altri a migliaia di euro a bottiglia, per cui hanno deciso di non rinnovare i contratti a scadenza, di rimboccarsi le maniche e iniziare a vinificare a proprio nome, con etichette sobrie, dal sapore indubbiamente classico. Per il resto, l’azienda entra a pieno titolo tra i naturali in senso ampio (solfiti sì, pochi, rame e zolfo, preparati vegetali e basta). Lo stile è quello dei contemporanei, vini diraspati, macerazioni abbastanza contenute, ricerca dell’esuberanza del frutto, ma senza estremismi. Per il momento questo è il loro vino di punta, che entra a gamba tesa tra quelli che vanno assaggiati ogni qual volta se ne ha l’occasione. Naso ancora un po’ indietro e con i sentori del legno, poi arrivano il ribes nero, la violetta, un po’ di the verde e di spezie esotiche. Bella struttura in bocca, bilanciata tra estrazione e tannino, suadente, fine, precisa. Ogni tanto si riesce a scoprire qualcosa anche quando il tempo è praticamente tutto preso dall’aggiornamento d’annata sui nomi di riferimento.
Domaine Henri Gouges – Nuits St. Georges 1er Cru Les Vaucrains 2022: altro produttore storico (e storicamente ottimo) di Nuits St. Georges, ma con uno stile molto più in linea con quello classico del comune, nonché famigerato per la quantità di pazienza richiesta perché i suoi vini arrivino all’optimum di bevibilità. In questo caso, l’annata aiuta Vaucrains ad essere meno indietro del suo solito. Profondo, di ottima precisione, frutti di bosco rossi, spezie, qualche nota erbacea e carnosa, molto Nuits. Il profilo è molto classico, da encomiare la precisione, ottima intensità e densità, si allarga nel palato, succoso, da annata generosa, austero e sapido il giusto. Per gli amanti di Gouges, per gli amanti di Nuits St. Georges, per tutti gli amanti della Borgogna fatta bene.
Domaine Georges Noellat – Vosne-Romanée 1er Cru Les Beaux Monts 2022: il terzo Beaux Monts a rappresentare i migliori dieci vini tra oltre 100 vigne classificate Premier Cru in Côte de Nuits la dice lunga sulla caratura di questa vigna, al netto del fatto che è uno dei Premier Cru più estesi a Vosne-Romanée. Maxime Cheurlin, classe 1990, fu una grande scoperta più di dieci anni fa, quando con l’annata 2010 prese le redini del Domaine, appena ventenne, succedendo alla nonna e facendo fare ai vini aziendali un triplo salto mortale carpiato verso l’alto proiettandoli dalla mediocrità ai vertici della categoria. Oggi, ci ritroviamo davanti i vini di un produttore esperto e che si è svezzato fronteggiando le difficoltà e gli imprevisti agronomici ed enologici della nostra era. Questo Beaux Monts spicca come interpretazione di grandissima eleganza e sorprendentemente fresca nonostante la ricchezza e la maturità del frutto figlie di un millesimo caldo. Amarene, mirtilli, violetta, spezie, incenso, tè verde costituiscono un quadro olfattivo di straordinaria finezza. La bocca parimenti è elegante, setosa, suadente, quasi erotica. Non particolarmente potente, ma particolarmente elegante senz’altro.
Mi sono rimasti solo dieci vini per chiudere questa fatica, e sono dieci Grand Cru. Li vedremo presto, spero. Ad maiora.
La settima e ultima parte di questo report uscirà su questa newsletter quando avrò tempo.