Cerchiamo di prendere un pochino di ritmo dato che non siamo nemmeno al giro di boa. Dopo Chablis e la Côte de Beaune, ci spostiamo verso due zone storicamente considerate marginali o proprio non considerate, che in virtù dei corposi aumenti di prezzi dell’ultimo decennio sono però rientrate – o entrate ex novo – nel favore di chi la Borgogna la beve e non ha a disposizione budget milionari.
All’estremo sud della Borgogna, Mâcon è sempre stata terra di vini bianchi importanti e strutturati. L’esistenza di un villaggio chiamato Chardonnay (da cui si produce la denominazione Mâcon-Chardonnay) ci ricorda che l’uva bianca più diffusa al mondo è nata qui, per cui si potrebbe dire che il vino di Mâcon è come la Settimana Enigmistica in quanto a tentativi di imitazione vantati. Sono vini di corpo, a tratti barocchi, con un uso del legno spesso generoso e che di solito richiedono almeno un paio d’anni per distendersi in bottiglia. Esistono, ovviamente, sia differenze fra i vari terroir – un Saint-Veran sarà inevitabilmente più largo di un Pouilly-Fuissé – sia di stile fra i produttori, ma generalmente sono vini che piacciono alla cucina che non piace al nostro cardiologo.
Diverso è il discorso per le due Hautes-Côtes, de Beaune e de Nuits. Nei fatti, sono territori che nessuno si è mai filato prima di una quindicina di anni fa, complici l’aumento vertiginoso dei prezzi, la saturazione del mercato e i cambiamenti climatici. Qui, dove adesso l’uva matura senza particolari problemi, è ancora possibile acquistare vigne senza avere necessariamente multinazionali o grossi fondi di investimento alle spalle, per cui c’è molto fermento. Si sono affermati sia giovani produttori, perlopiù naturali con vari livelli di estremismo, sia aziende “di nome” della Côte d’Or desiderose di aggiungere al loro portafoglio una denominazione più a buon mercato, ma comunque in grado di offrire un livello qualitativo valido. Perché la situazione è certamente ancora in divenire, ma i migliori vini delle Hautes-Côtes valgono un buon Village della Côte d’Or.
PARTE TERZA: MACONNAIS E HAUTES-COTES
Nessuna regola, se non “un solo vino per produttore”: a Mâcon, la classificazione di alcune vigne a Premier Cru è cosa recente e che è stata implementata solo in alcuni comuni… e magari non in quello adiacente che offre esempi di qualità pari o superiore. Sulle Hautes-Côtes è poi possibile produrre solo Bourgogne.
Saumaize-Michelin – Pouilly-Fuissé 1er Cru “Clos sur la Roche” 2022: la bottiglia che ha veramente rubato la scena è la magnum di Courtelongs 2019 lasciata al banco degli assaggi liberi, ma un’altra regola che mi sono dato è che le vecchie annate offerte in degustazione negli assaggi liberi e ai buffet, spesso presentate in grandi formati, fossero escluse dalle menzioni. Tornando a sur la Roche 2022, non si direbbe un vino figlio di un’annata calda, per la fragranza degli aromi e la grande definizione. Come spesso accade nei migliori Fuissé, ha una straordinaria potenza minerale, accompagnata da rinfrescanti note agrumate anch’esse tipiche del territorio. Grande pulizia, struttura che beneficia di un’estrazione rilevante e ci accompagna riempiendo la bocca, con una sapidità sopra le righe che arriva a potersi definire austera. Non è certo un vino piccolo né magro, ma il controllo con cui viene gestita tutta questa potenza è quello di Ronaldo (quello vero) con le piante dei piedi fatte di Pirelli P6000.
Guillemot-Michel – Viré-Clessé Charleston 2022: Viré-Clessé è il comune del Mâconnais da cui provengono i vini più larghi, barocchi, cremosi, a volte con un po’ di botrite e/o un paio di grammi di residuo zuccherino. I migliori esempi sono vini sontuosi dalla straordinaria capacità di invecchiamento. Questa cuvée da vigne centenarie rappresenta in modo chiaro il lato più minerale e asciutto del comune, dal naso profondo e serio, di grande mineralità, accompagnata da note di cedro e legno di cedro, mentre il legno inteso come note speziate provenienti dall’affinamento appare bene integrato sia al naso sia in bocca. La materia è incredibile, la struttura importante e splendidamente portata avanti in verticale da una scintillante acidità. Rimane fresco, croccante e profondo nella sua stratificata ricchezza.
Naudin-Ferrand – Bourgogne Hautes Côtes de Nuits Myosotis Arvensis 2022: nome del vino naturale che qualcuno definirebbe un unicorno, soprattutto per le sue etichette più importanti prodotte in Côte de Nuits. La produzione sulle Hautes Côtes rimane comunque di alto livello e ha aggregato intorno a sé piccoli fenomeni di culto, ben più giustificati rispetto ad altri produttori naturali dell’ultima ora che non hanno molte frecce al loro arco tolti hype e scarsa reperibilità. Il naso è fine, complesso, di buona tipicità, floreale, piccoli frutti rossi e una bella mineralità. Di buona struttura, mantiene un’apprezzabile eleganza, tornano frutti di bosco e fiori di campo, definito e ben sorretto. La pianta da cui prende il nome si chiama in italiano “non ti scordar di me”: non credo che me lo scorderò, ma nel dubbio me lo segno.
Domaine Barraud – Pouilly-Fuissé 1er Cru “Sur la Roche” 2022: sono arrivato fin qui e su quattro vini, da un dedalo di decine di comuni diversi, senza stare a contare i cru, due provengono dalla stessa vigna, che a freddo, dopo una batteria di assaggi da maratoneta, sono portato a pensare abbia performato particolarmente bene in questo millesimo. Il naso è ancora compresso, ma questo è dovuto alla ricchezza aromatica, dato che la potenza è degna di nota e la precisione inappuntabile. Si tratta di un quintessenziale cru del Mâconnais in un’annata generosa, quindi la struttura è importante, ai limiti dell’opulento, ma al tempo stesso è un vino che vive, buon per lui, in equilibrio: è polposo ma anche sapido, materico ma anche fresco, energico ma anche perfettamente integrato.
Robert-Denogent – Pouilly-Fuissé vers Cras Vieilles Vignes 2022: ancora Fuissé, vigna teoricamente meno prestigiosa ma come detto più sopra a Mâcon questa cosa conta il giusto; il manico è uno di quelli di riferimento. Il naso è nettamente indietro, c’è ancora un po’ di legno ma sotto si intuisce una grande materia, tanta frutta bianca carnosa. Questa larghezza e contrazione vengono negate – accade spesso, con vini in bottiglia da poco – dalle qualità intrinseche mostrate in bocca, dove la spinta è inattesa, è pieno e potente ma energico anche in verticale, risulta ben sfaccettato nonostante i cavalli motore e chiude lunghissimo.
Agnes Paquet – Bourgogne Hautes-Côtes de Beaune blanc 2022: il nome di Agnes Paquet è il primo che appare due volte nel corso di questi sette post ma SPOILER non è l’ultimo. Il suo Hautes-Côtes de Beaune blanc, in quest’annata calda e cicciotta, ci fa capire perché tutti quelli che possono stanno cercando di comprare vigne qui (prezzi umani a parte), siamo in alto, vicino al bosco, e come sull’Amiata, sull’Etna, a Montalcino o in Langa, come dappertutto ai tempi del riscaldamento globale, insomma, si cerca di salire in alto per calmierare le alcolicità, salvaguardare le acidità e trovare migliori escursioni termiche. È un vino dominato dalla parte minerale, fragrante, il frutto è in secondo piano ed è snello, va a completare un grado di generale tensione. L’intensità è più che apprezzabile, ma è condotta in pieno equilibrio, la parte sapida a tornare a definirne il carattere assolutamente contemporaneo. Lungo e vibrante.
Frantz Chagnoleau – Pouilly-Fuissé Pastoral 2021: primo e unico 2021 nella lista, non è un cru ma un nome di fantasia che racchiude un taglio di quattro differenti vigne nel comune di Vergisson. Naso ancora introverso in cui prevale la parte minerale, ma si intuisce, pur accennata, una complessità interessante. Narra il territorio a modo suo, in modo preciso e intrigante, la materia è eccellente ma soprattutto lo sono il dinamismo, la tensione, la sapidità.
Domaine des Gandines – Viré-Clessé Les Gandines 2022: convince già al naso per intensità e complessità, fra mineralità e speziatura, agrumi e qualche richiamo floreale. Anche in bocca risulta delizioso, potente e lungo, ben sorretto dall’acidità. Un outsider che ha convinto in annata non semplicissima.
Domaine La Soufrandière – Pouilly-Fuissé En Chatenay 2022: torniamo a parlare di un nome più noto, che si è fatto conoscere e apprezzare sul mercato negli ultimi anni e che dà visibilità anche a una serie di denominazioni non proprio conosciutissime. Il risultato migliore di quest’anno, però, non sorprendentemente va ricondotto a quello che è probabilmente il territorio più blasonato della zona. Naso ancora contratto, un residuo di legno, la parte più apprezzabile è quella minerale. Alla faccia del 2022, l’acidità citrica ne risulta il chiaro filo conduttore, risulta verticale, super sapido, fresco, chiude assai convincente. Non fraintendetemi, la polpa e la concentrazione ci sono, ma questo profilo non le mette in primo piano.
Domaine de la Bongran – Viré-Clessé 2020: un mio vecchio pallino, azienda storica (nonché tra le primissime a lavorare in biologico decenni fa) che ha creato nel Ventesimo secolo capolavori immortali, ma continua a convincere con la più barocca e opulenta interpretazione del territorio del Mâconnais, in genere con un filo di zucchero residuo a equilibrarlo. Qui abbiamo un’interpretazione classica, forse più minerale del solito ma ben centrata su spezie e frutta esotica. La bocca è ampia, intensa, piena, massimalista. Per chi ama i BBW (Big Bodied Wines).
E anche Mâcon e le Hauts-Côtes ce le siamo tolte… prima dei momenti che tutti state aspettando, resta un’altra tappa obbligata, quella che io chiamo “i confini dell’Impero”.
Le parti quarta, quinta, sesta e settima di questo report usciranno su questa newsletter quando avrò tempo