Nel redigere la classifica dei miei migliori 50 vini italiani del 2024, mi sono accorto che, soprattutto a causa delle eccellenti annate 2021 e 2019 in Langa, non arrivavo a dieci vini bianchi. Ho quindi deciso di proporre questa piccola integrazione, presentata nel tradizionale ordine delle regioni italiane, senza una graduatoria eccezion fatta per il migliore.
Con un certo ritmo, ché già ho rotto il cazzo.
NOTA BENE: dato che mi sono accorto che di due dei vini presenti è nel frattempo uscita un’annata successiva, ma avevo già comunicato ai produttori la loro presenza in classifica, ho aggiunto ulteriori due referenze a questo post.
La rinascita del Gavi passa da qui. Precisione, sapidità, tensione, beva per uno dei bianchi più entusiasmanti dell’anno. Avrei potuto premiare il fratello affinato in legno (Il Campione) ma credo ancora nelle rivoluzioni dal basso, una bottiglia alla volta.
Una grossa sorpresa, soprattutto per me che amo il riesling tedesco. Qui siamo in Valtenesi, Garda bresciano, e l’interpretazione si discosta abbastanza da quelle teutoniche. Per carità il varietale è riconoscibile e inquadrato, c’è mineralità, agrume, tensione, ma ci sono anche una solarità, un’ampiezza decisamente più mediterranee. Grande prova per un’azienda da seguire.
Mi fa molto piacere inserire un friulano - quello che un tempo si chiamava tocai - tra i migliori vini bianchi d’Italia, in una zona in cui la vinificazione in bianco attraversa un momento di grandi sfide dovute innanzitutto al clima che sempre più spesso porta a vini di difficile beva, laddove la capacità di finire una bottiglia in due ne dovrebbe essere una caratteristica determinante.
Un vino perfettamente tipico, di una complessità aromatica impressionante, godibilissimo, assolutamente non magro ma gastronomico e al tempo stesso di facile beva.
Nota a margine: in questa classifica ho messo insieme vini bianchi e arancioni perché se da una parte è vero che i secondi ormai da un po’ hanno dignità di categoria a sè, dall’altra i contorni tra le categorie sono sfumati. Questo vino ha fatto cinque o sei giorni di macerazione, quindici anni fa senza alcun dubbio sarebbe stato definito “orange”, oggi con altrettanta sicurezza lo consideriamo bianco.
Vedi quanto scritto come 38esimo vino assoluto dell’anno.
Scendiamo nettamente di latitudine salendo al tempo stesso in estrazione e gradazione; del resto l’ansonaco del Giglio è sempre un vino generoso, intenso, d’impatto.
Questa versione non la manda certo a dire, è semplicemente poderosa, impetuosa, soverchiante. Una grande bottiglia, ma da cui si astengano i fanatici dei vini iperverticali e ipercinetici; qui si respira la lentezza che accompagna inevitabilmente la vita nelle piccole isole.
Uno dei miei Verdicchio preferiti ritorna nella denominazione, e lo fa con una versione che ho amato. Una versione fresca, floreale, salata, molto fragrante e che mantiene quella tipica deriva erbacea che lo fa riconoscere. Da bere con gioia, ma anche da far invecchiare.
Uno dei miei vini del cuore, che rappresenta la quintessenza di un’uva tra le più bistrattate e incomprese d’Italia. Una versione da manuale, materica, tipica, con tanta frutta bianca, la giusta grassezza e mineralità. Vino che mostra fin d’ora una grande piacevolezza, negli ultimi mesi si è assestato su un registro di totale rispondenza territoriale e sicuramente ci darà soddisfazioni anche negli anni a venire.
Vedi quanto scritto come 49esimo vino assoluto dell’anno.
Come accade quasi sempre, le Marche e la Campania sono le regioni sugli scudi quando si parla del meglio dell’enologia bianchista italiana. In particolare, i vini del fenomeno Luigi Sarno sono ormai da molti anni tra le migliori espressioni non semplicemente del territorio che rappresentano.
Va detto che questa etichetta è sempre inconfondibile, per quel suo profilo affumicato; va letto comunque come un’interpretazione di grande personalità di uno dei migliori terroir per i vini bianchi nel nostro Paese. Questa versione è tutta per gli amanti della mineralità, ampio, profondo, potente, già perfettamente leggibile.
Un’altra selezione di fiano che prende il nome dalla particella catastale, ma da una zona differente e con un profilo inevitabilmente differente. Qui la parte minerale è quasi altrettanto importante, ma vira più sulla pietra focaia à la Sancerre con un accenno di idrocarburo, con il giusto accompagnamento di un frutto fragrante e fresco. Davvero eccellente.
In questo caso non c’è due senza tre: un altro fiano che sta qui a sottolineare come la scena irpina scoppi di salute. Qui la zona è totalmente diversa dai due vini precedenti, siamo a 750 metri di altitudine e questo vino è un noto e apprezzato unicum della zona.
L’annata 2021 va annoverata fra le migliori espressioni recenti di questo vino, con un profilo fragrante e disteso, con intriganti note erbacee ad ampliarne la complessità, e un sorso che vince in equilibrio e carattere, disteso, senza eccessi nè sbavature. Con la consapevolezza che questa etichetta è nota per la sua capacità di invecchiare e quindi ci aspettiamo che negli anni a venire l’evoluzione possa essere particolarmente positiva.
Chiudiamo la carrellata con il vino bianco dell’anno, già trattato nella classifica generale alla posizione numero 28.
Ci sono rimaste le prime dieci posizioni assolute, ma prima ci sarà un altro, effervescente diversivo, ricco di controversie. Restate sintonizzati ché ne vale la pena.