SAN VALENTINI 2024
Non c’è amore più grande di quello per il vino. E in particolare del mio per questo vino
“Il Trebbiano del Maestro”, ossia di Valentini, è uno dei vini che nomino più spesso. Se ai miei studenti venisse dato un euro ogni volta che lo nomino, c’è il serio rischio che si ripagherebbero l’intero corso. È un vino da cui sono sempre stato ossessionato, per le sue straordinarie qualità, certo, ma anche per il suo essere un enigma enoico, un oggetto di culto non comprensibile da chi non l’abbia bevuto, anzi, da chi non l’abbia bevuto maturo. Esercita su di me un fascino magnetico e non ho mai saputo fare a meno di ordinarlo, di comprarlo e di lasciarlo riposare in cantina. A Loreto Aprutino c’è qualcosa che per me è un po’ un piccolo Tempio di Salomone.
Ed è quindi con immenso piacere che posso annunciare che quest’anno riprenderò una tradizione vecchia di oltre un decennio e interrotta nel 2020, complice la pandemia ma non solo: aprire vecchie annate di Trebbiano Valentini il 14 febbraio.
Simbolismo a parte, c’è qualcosa di inafferrabile e non descrivibile nell’amore dei degustatori più esperti per il Trebbiano di Valentini, così come c’è qualcosa di inafferrabile e indescrivibile nel Trebbiano di Valentini stesso, citando Fabio Pracchia: “Il Trebbiano di Valentini ha un tessuto gustativo tale da rompere e ricomporre qualsiasi schema degustativo adottato. Richiede un avvicinamento consapevole, curioso e disposto all’ascolto. Caratteristiche fondamentali per chiunque si approcci con dedizione alla cultura del vino”.
Che sia il più grande vino bianco italiano è pressoché unanime, incredibilmente un vino fatto con l’uva più umile d’Italia, in una regione, l’Abruzzo, che non è tra le prime che vengono citate parlando di vino italiano nel mondo, riesce a mettere d’accordo tutti, dai naturalisti più feroci ai bevitori di etichette più ingessate. Questa è solo una delle magie di questo vino.
Riesce a mettere d’accordo tutti… a patto di avere assaggiato qualche bottiglia matura. Come ho già ampiamente scritto, uno dei maggiori problemi dei “civili” nel loro approccio con il vino è di berlo troppo giovane, e in questo caso non potrebbe essere più vero. Da giovane questo vino, che svolge la malolattica in bottiglia e oltre ai solfiti ha una lieve presenza carbonica, è quasi sempre ostico, a volte ridotto, spesso poco comunicativo se non addirittura muto. Se ne colgono i difetti, ma, se non lo si conosce, non le potenzialità.
A mano a mano, con gli anni, con i decenni, inizia a svelarsi. Di cosa sappia il Trebbiano di Valentini è un inutile esercizio di stile, la nota più caratteristica è probabilmente quella di salamoia (curioso si possa dire la stessa cosa di non pochi Barbaresco), e poi tanto sale, fiori secchi, frutta gialla, idrocarburi, erbe aromatiche, frutta secca, agrumi canditi e chi più ne ha più ne metta. Ma è un vino immensamente superiore alla somma delle sue parti, per la sua vitalità, mutevolezza, carattere, che hanno modo di svilupparsi in una longevità assurda (l’ultima 1967 aperta nel 2011 e l’ultima 1968 aperta quattro anni fa erano perfettamente in vita).
Il Trebbiano di Valentini è uno dei vini artigianali per antonomasia. Prima Edoardo, oggi Francesco Paolo Valentini, personaggi assenti dalle ribalte, sfuggenti come l’abruzzese dei colli sa essere, hanno sempre rifuggito qualsiasi definizione e accasamento. I trattamenti sono, da sempre, solo rame e zolfo, in cantina si solfita un po’ e basta. I risultati non sono replicabili, da nessuno. Merito dei cloni – si dice non sia veramente trebbiano? Merito della popolazione di lieviti in cantina? Merito del manico? Non è necessario saperlo per credere.
Un viaggio nel più affascinante, esoterico, surrealista, introspettivo dei vini italiani è una performance non ripetibile, mai uguale a se stessa. Le annate sono state scelte rigorosamente a sorte fra quelle presenti nel mio archivio personale, e devo dire che quest’anno siamo andati parecchio indietro, fino a un millesimo -il 1994- che non assaggio da più di dieci anni.
La tradizione impone di iniziare con le bottiglie più vecchie, gli anni Novanta, quelli già pienamente maturi ed evocativi. Gli anni Duemila percorrono lo stesso solco, ma inevitabilmente su un registro diverso. Questi cinque sono i Trebbiano di Edoardo. E poi due annate non giovani di Francesco Paolo, per capire come il cambio di manico e il cambiamento climatico abbiano influito su quello che rimane un vino assoluto. Chiuderemo con un Montepulciano di un’annata non a caso: la 2006, un vino vendemmiato pochi mesi dopo la morte di Edoardo Valentini.
SAN VALENTINI 2024
Milano, via Orti 4, ore venti e trenta
Trebbiano d’Abruzzo 1994 Valentini
Trebbiano d’Abruzzo 1997 Valentini
Trebbiano d’Abruzzo 1998 Valentini
Trebbiano d’Abruzzo 2000 Valentini
Trebbiano d’Abruzzo 2002 Valentini
Trebbiano d’Abruzzo 2012 Valentini
Trebbiano d’Abruzzo 2013 Valentini
Montepulciano d’Abruzzo 2006 Valentini
Euro 330 a persona cena inclusa, possibilità di glass sharing
Info e prenotazioni: @nonlasolitavineria // nonlasolitavineria@gmail.com
Nota a margine: è possibile che in questo post abbia riferito alcune cose così come si suole riportarle, e che la vera verità sia differente. Ma non svelerò ogni segreto qui, a un pubblico in larga parte di profani; gli iniziati sanno e comprendono, agli altri sarà detto nella sede opportuna come stanno le cose.